Dis-abilità: in che modo il coaching sfrutta il potenziale e si concentra sull’abilità

CoachHub · 3 December 2021 · 5 min read

Nella prima conversazione con Consuelo Battistelli, manager DE&I (Diversity, Equity & Inclusion) presso IBM Italia, il discorso si è da subito incentrato sulla gestione delle disabilità, che purtroppo per le aziende rappresenta l’ultima priorità soprattutto per quanto riguarda il concetto di inclusione.

In diversi Paesi la presenza di diversità è obbligatoria per legge. In tal senso, può sembrare che spesso il compito di assumere e includere persone con disabilità nella forza lavoro venga portato a termine piuttosto rapidamente.

Tuttavia, una legge sulle quote è sufficiente per ottenere un’inclusione reale?

Consuelo, che lavora nel campo del DE&I dal 2016, sa bene che le persone con disabilità non sempre vengono accettate, almeno nel contesto organizzativo. Secondo la sua esperienza, spesso vengono dotati di strutture e strumenti avanzati per supportare le disabilità (ad esempio un ufficio “adatto a persone con disabilità”, uno strumento e una soluzione tecnologica moderni, o una policy specifica). Tuttavia, affidarsi esclusivamente a questo approccio non è sempre un modo coerente per rendere le persone con disabilità veri e propri membri del team o membri preziosi dell’organizzazione. È fondamentale che i datori e le datrici di lavoro si rendano conto che il loro obbligo non termina con l’onboarding.

Una volta Mario, un dipendente di una grande azienda, ha confessato a Consuelo, “mi è stata fornita la tecnologia più avanzata a supporto del mio lavoro, ma in realtà non sapevo nemmeno chi fosse il mio capo e passavo innumerevoli ore ogni settimana a leggere romanzi per tenermi occupato”. Mario era tagliato fuori dalle basi del management (definizione degli obiettivi per lui, ricezione di feedback, valutazione secondo un sistema di gestione della performance, eccetera).

Si tratta di un fenomeno molto comune per i manager e le manager. Spesso non sanno come trattare le persone con disabilità visibili. Ad esempio, a volte sono più indulgenti con i propri e le proprie dipendenti e quindi evitano di fornire un feedback costruttivo adeguato o di assegnare progetti impegnativi o persino ruoli di leadership. In altre occasioni non si sentono a proprio agio nell’affrontare un argomento con quella persona. Inoltre, per un’azienda non si tratta solo di un problema etico, ma di uno spreco.

In che misura le aziende subiscono perdite quando la disabilità non viene affrontata correttamente?

Secondo il CIPD (Chartered Institute of Personnel Development), solo nel Regno Unito ci sono circa 7,7 milioni di persone in età lavorativa con una disabilità o una condizione di salute a lungo termine, eppure solo la metà di queste persone lavora (CIPD, 2021).

Inoltre, secondo uno studio del CTI (Center for Talent Innovation) solo il 21% dei e delle dipendenti con disabilità comunica alle risorse umane di averne una (bisogna considerare che non tutte le disabilità sono visibili e che alcune sono correlate alla salute mentale).

Secondo il CTI, il 75% dei e delle dipendenti con disabilità apporta grande valore aziendale attraverso le sue idee e, tra questi talenti, il 48% afferma che le proprie idee sono state ignorate dalle persone con capacità decisionali o dalle parti interessate, il 57% si sente bloccato nella propria carriera e il 47% ritiene che non riuscirà mai a raggiungere una posizione di potere nella propria azienda, indipendentemente dalla qualifica o dalle performance elevate (CTI, 2017).

Le aziende rischiano di non sfruttare i talenti all’interno dell’organizzazione, soprattutto se si considerano i dipendenti e le dipendenti che si sentono esclusi e che con ogni probabilità svilupperanno più frustrazione e mancanza di impegno. Ciò si traduce in performance inferiori o nell’abbandono dell’azienda. Le organizzazioni rischiano inoltre di perdere informazioni sulla prospettiva e sulle esigenze di un vasto gruppo di consumatori. Si stima che questo costi 249 miliardi di sterline nel solo Regno Unito. Per non parlare dei rischi legali e reputazionali.

 

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Se si intende definire una strategia adeguata sulla disabilità, oltre a concentrarsi su politiche, strutture e strumenti, è necessario eliminare le barriere culturali. Una parte della strategia di supporto ai talenti con disabilità può quindi includere la formazione di tutti i dipendenti e di tutte le dipendenti affinché comprendano alcune sfide specifiche che le persone con disabilità devono affrontare e, magari, chiedere ad alcuni di condividere le loro storie e testimonianze.

Allo stesso tempo è importante assicurarsi che il proprio lavoro abbia una profondità che non solo “ridisegni” l’attitudine, ma che sviluppi anche le competenze giuste su due livelli:

  1. Fornire ai leader e alle leader la capacità di creare ambienti psicologicamente sicuri. I leader e le leader devono essere in grado di promuovere la fiducia all’interno del team per aiutare i collaboratori e le collaboratrici a parlare apertamente delle loro esigenze specifiche, comprendere come valorizzare al meglio i talenti e svilupparli, responsabilizzandoli invece di relegarli nel ruolo di “vittime”. Ciò è possibile soprattutto quando un leader o una leader é in possesso di abilità di coaching ed è quindi in grado di ascoltare e mettere in discussione l’altra persona senza giudicare.
  2. Fornire alle persone con disabilità gli strumenti necessari per esprimersi e riconoscere i propri talenti e abilità (invece di concentrarsi sulle dis-abilità) per sostenere gli obiettivi dell’azienda e del team. Questo risultato è raggiungibile con un coaching 1:1, in particolare con un approccio basato sui punti di forza, focalizzato sulla consapevolezza dei talenti unici della persona e delle relative fonti di motivazione ed energia.

Il coaching è quindi lo strumento migliore, poiché fornisce uno spazio psicologicamente sicuro in cui le persone con disabilità sono in grado di esprimersi liberamente. Fornisce loro un supporto affinché imparino a far valere le proprie esigenze, a sentirsi più sicuri di sé, aumentando la consapevolezza dei propri talenti e dei modi in cui valorizzarli nelle situazioni appropriate.

Inoltre il coaching apporta benefici e supporta i leader e le leader aiutandoli a rendere il loro stile di leadership più inclusivo. Allo stesso tempo, in un programma di coaching incentrato sulla gestione della disabilità, i leader e le leader imparano a ricreare un ambiente psicologicamente sicuro e ad adottare uno stile volto alla responsabilizzazione e all’ascolto attivo di tutto il personale.

L’adozione di una buona politica di gestione della disabilità presenta vantaggi a numerosi livelli. Per quanto riguarda la persona, questa potrà sentirsi più motivata e inclusa per il suo valore, invece di percepire la sua presenza come semplice osservanza della legge. Per l’azienda, una buona politica favorisce la presenza di competenze interne e consapevolezza di queste ultime che invece nella maggior parte dei casi vengono ignorate.

In realtà, ciò che serve è un cambiamento nel focus e nell’approccio. Un o una manager che sviluppa un approccio basato sul dialogo, l’ascolto e sulle competenze di coaching, può imparare a esprimere la curiosità necessaria per chiedere alla persona quali sono le sue abilità, invece di limitare il focus esclusivamente sulla disabilità, dandole la possibilità di “vedere” e sviluppare il suo vero potenziale.

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Valeria Cardillo Piccolino
CoachHub Senior Behavioral Scientist MED


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